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Far bene il lavoro fa bene al lavoro.

Mi ha molto colpito, anche se non sorpreso la notizia che – dai dati dell’Istat – la disoccupazione giovanile nel Mezzogiorno ha superato nell’ultimo anno  il 46%. Il che vuol dire che ormai quasi un giovane su due è senza lavoro. E per le ragazze la percentuale è già arrivata esattamente al 50%. A rinforzare, loro malgrado, l’esercito dei senza lavoro ci sono poi quelli che un’occupazione l’avevano ma nel corso dell’ultimo anno l’hanno persa. E se le possibilità di assunzione da un lato restano incerte, dall’altro è certo che l’occupazione sia innegabilmente in calo. Da giovane imprenditore del Sud (mi occupo di pubblicità e di comunicazione) mi chiedo a questo punto che cosa debba accadere perché un’impresa del Mezzogiorno, soprattutto se giovane e fatta di giovani, possa funzionare e creare posti di lavoro.

Se ci guardiamo intorno, ci accorgiamo che stiamo vivendo un cambiamento epocale. Anche le imprese si stanno trasformando. La crisi – si sa – miete vittime, elimina rami secchi, ma allo stesso tempo può esaltare le forze sane e produttive di chi è pronto a raccogliere la sfida della ripresa. A mio avviso, è giunto il momento di prestare la massima attenzione, anche maniacale se è possibile, alla qualità del lavoro, si deve puntare con fiducia sulle proprie forze, aggiornare le competenze, gestire con cura le risorse, perseguire con determinazione gli obiettivi. E’ proprio nei momenti difficili che si colgono le opportunità. Ed è questa l’ora di alzare la testa: si ha l’impressione, oggi, di uscire dalle nebbie di anni segnati da sprechi, pressappochismi, inefficienze, assenza di controlli o, meglio ancora, sembra che finalmente ci stiamo liberando dai lacci stretti di favoritismi, assistenzialismi, clientelismi, per non dire peggio. Un’overdose di ricchezza malgestita che oggi sta generando crisi di astinenza, oltre che crisi economica.

In altri termini, questa congiuntura sta facendo nascere una nuova idea d’impresa che punta a migliorarsi più che a ingrandirsi. Un modello di azienda competitiva, capace di camminare con le proprie gambe, mentre tante aziende malate di gigantismo, drogate da anni di compiacenze e sostegni, escono di scena.

E’ l’azienda sana, quella in cui si investono tutte le proprie risorse, a non temere le crisi perché vuole andare avanti ad ogni costo e cresce attraverso scelte prudenti, piccoli passi, ore e ore di lavoro.  E’ quella che non si lascia ingabbiare nelle fatidiche otto ore, ma utilizza tutto il tempo necessario per non deludere il cliente, fornire un lavoro di qualità e rispettare i termini di consegna concordati. L’abilità della nuova azienda sta nell’ascoltare continuamente i suoi interlocutori, nel prestare attenzione a ogni piccolo dettaglio, nell’avere voglia di dare una risposta credibile, sempre. Senza guardare subito e soltanto al profitto. E’ questa la nuova impresa post-crisi, un’impresa che forse non brilla per i numeri, ma sta emergendo come esempio di serietà in un mercato che ne aveva davvero bisogno. Non resta allora che chiederci: siamo davvero sicuri di fare tutti bene il nostro lavoro? Con i tanti sacrifici che occorrono?

dalla mia lettera al Direttore, pubblicata su Corriere del Mezzogiorno del 15 settembre 2012

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